Smart working: crescono gli infortuni domestici dei dipendenti. Prevenzione e assicurazione privata di gruppo possono proteggere chi lavora in remoto

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Quest’anno migliaia di lavoratori dipendenti hanno deciso di licenziarsi, alla ricerca di condizioni di impiego migliori.

Lo smart working, dati alla mano, è in cima alle richieste.

I serissimi infortuni domestici dei dipendenti sono in aumento, come dimostrano le recenti statistiche. 

Le aziende, in caso di violazione della normativa in materia salute e sicurezza, corrono seri rischi di risarcimento. 

Prevenzione di base e assicurazioni volontarie di gruppo sono validi strumenti per proteggere i dipendenti in remoto.

Le grandi dimissioni del Nord: smart working in cima alle richieste dei dipendenti

Il 2022 sarà ricordato non solo per lo scoppio della guerra in Ucraina ma anche per l’altissimo numero di dimissioni volontarie che ha caratterizzato Lombardia, Veneto e Friuli, tra le più produttive regioni italiane.

Il fenomeno della “grande fuga” ha visto coinvolti 66.300 lavoratori (il 50 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2021!) che hanno rassegnato le dimissioni in cerca di un futuro diverso e migliore e di un equilibrio tra ambizioni professionali e vita privata.

A detta degli esperti non si tratta di scarsa propensione al sacrificio ma della ricerca di più spazi per se stessi e della conciliazione tra tempi di vita e di lavoro, necessità emerse durante la pandemia e letteralmente scoppiate nei numeri delle grandi dimissioni di quest’anno, soprattutto tra i giovani, poco propensi all’acquisto di una vettura per recarsi in ufficio ma molto più disponibili a lavorare smart, da casa, di fronte ad un pc.

Di questo fenomeno se ne stanno accorgendo sia i consulenti del lavoro (come emerge da questo recente studio) sia gli imprenditori: nei contratti collettivi compaiono clausole che introducono un corretto bilanciamento tra professione e vita privata, lavoro a distanza, diritto alla disconnessione, flessibilità, totale autonomia nella gestione dell’orario di servizio.

È un errore credere che lo smart working di massa si sarebbe sgonfiato con la fine della pandemia.

I dati che emergono dalla ricerca dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano dicono esattamente il contrario: 4,38 milioni di lavoratori in remoto (+8%), di cui 2,03 milioni nelle grandi imprese, 700mila delle PMI, 970mila nelle microimprese e 680mila nella PA.

Lo smart working non sarà rimosso ma addirittura incentivato nell’89% delle grandi aziende, dove aumenteranno sia i progetti strutturati sia quelli informali, nel 62% delle PA e nel 35% delle PMI.

La pandemia ha senza ombra di dubbio accelerato l’evoluzione dei modelli di lavoro verso forme di organizzazione più flessibili e intelligenti e, così sembra, a dettar le regole questa volta sono i lavoratori.

A migliaia ricercano espressamente offerte di lavoro che prevedono lo svolgimento di attività a distanza presso la propria abitazione, lontani dagli uffici delle grandi aree urbane, improntati al raggiungimento sì di obiettivi ma con maggiore flessibilità sugli orari e senza mai dimenticare la salute psico-fisica.

L’altro lato della medaglia: l’alto rischio di infortuni domestici dei dipendenti 

Il lavoro agile è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzata dall’assenza di vincoli orari o spaziali e da un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro.

Questo nuovo modello da una parte presenta indubbi benefici (l’assenza di vincoli orari e spaziali e il bilanciamento tra professione, carriera e qualità della vita), dall’altro espone il lavoratore a seri rischi di infortuni presso la propria abitazione.

È proprio cosi: lo spostamento fisico del dipendente dall’ufficio a casa non ha comportato un vero riassetto dell’organizzazione dell’attività lavorativa ma la  sostituzione di un luogo fisico, l’ufficio, con un altro, le mura domestiche dove il dipendente si può fare male durante l’orario di lavoro.

Siamo di fronte ad un vero trasferimento del rischio di infortuni dall’azienda all’abitazione privata del lavoratore, testimoniato dal brusco calo degli infortuni durante il tragitto casa-lavoro da una parte e dall’aumento degli infortuni domestici dall’altra. 

Gli infortuni che si verificavano in itinere o su strada hanno sempre rappresentato un grande problema per la prevenzione: circa la metà degli infortuni mortali professionali generalmente avveniva proprio durante la circolazione.

Con le riorganizzazioni aziendali dovute alla pandemia le recenti statistiche  dimostrano in modo lampante che non è più così: gli infortuni durante il percorso casa-ufficio-casa sono bruscamente calati dal dal 50% al 26,5%.

Idem per gli incidenti stradali in occasione di lavoro con mezzo di trasporto (pensiamo ai conducenti professionali come camionisti, tassisti, rappresentanti, ecc.).

Anche per loro si è registrata una diminuzione importante, pari al -31,8% con un numero di denunce che si ferma nel 2020 a 13mila contro le consuete 20mila degli ultimi anni.

Purtroppo, ad una netta diminuzione degli incidenti in itinere, corrisponde un notevole aumento degli infortuni domestici.

Lo ribadiamo ancora una volta: il rischio di infortuni sul lavoro non è diminuito ma si è letteralmente spostato dal luogo di lavoro -e dal tragitto che porta il lavoratore in ufficio- alla sua abitazione.

I numeri che emergono dalle statistiche europee intorno agli infortuni domestici sono allarmanti e il serio infortunio in smart working di una lavoratrice dipendente a Treviso, come vedremo qui di seguito, sta già facendo scuola.

A livello internazionale Eurosafe, l’Associazione Europea per la promozione della sicurezza e la prevenzione degli infortuni, ha calcolato che la maggior parte degli incidenti mortali avviene proprio all’interno delle abitazioni.

In Italia, L’ISTAT ha registrato più di 3 milioni di casi di incidente domestico.

L’INAIL da sempre promuove campagne di sensibilizzazione sui i rischi che avvengono proprio tra le mura domestiche: queste iniziative prima della pandemia erano indirizzate principalmente a domestiche, badanti, personale infermieristico domiciliare.

Adesso possiamo includere, dati alla mano, anche i lavoratori dipendenti che hanno scelto di lavorare smart, come insegna l’incidente di Treviso, con tutti i rischi che ne derivano.

“Perché l’infortunio in smart working di Treviso fa scuola?”

L’incidente accaduto ad una lavoratrice dipendente di Treviso conferma innanzitutto i dati appena visti: presso le mura domestiche ci si può infortunare seriamente durante l’orario di lavoro.

In secondo luogo, evidenzia quanto sia difficile per il lavoratore dimostrare il legame tra attività lavorativa e infortunio sul lavoro.

“Se un lavoratore dipendente si fa male a casa in smart working e non riesce a dimostrare questo legame, che rischi corre?”

Una lavoratrice trevigiana, alle dipendenze di un’azienda metalmeccanica, scivola lungo le scale di casa mentre è al telefono con una collega.

Secondo la ricostruzione dei fatti, sembra che l’impiegata stesse svolgendo il turno in smart working e, durante una telefonata con un collega, utilizzando peraltro lo smartphone di servizio, sia caduta dalle scale di casa provocandosi alcune fratture.

Se l’infortunio fosse accaduto in ufficio, o all’interno delle aree produttive, non avrebbe fatto notizia.

Al contrario, la stampa ha dato molto risalto proprio al fatto che l’incidente sia successo all’interno delle mura domestiche.

L’Istituto per gli infortuni sul lavoro inizialmente non voleva riconoscere il sinistro, ritenendo che non ci fosse un nesso tra ciò che stava facendo la lavoratrice al momento della caduta e le sue mansioni aziendali.

Nonostante ciò e grazie al supporto del sindacato, la lavoratrice ha ottenuto da parte dell’INAIL  il riconoscimento dell’incidente come infortunio vero e proprio, al quale si sono aggiunti un risarcimento economico pari a circa 20 mila euro, i giorni di malattia oltre che visite e terapie gratis senza obbligo di ticket per i prossimi dieci anni.

Lo ribadiamo: il caso di Treviso ha fatto scuola perché ha messo in luce quanto sia importante per il lavoratore dipendente dimostrare il legame tra attività svolta e infortunio.

Se questo legame sussiste, il dipendente può godere della assicurazione INAIL.

Nel caso contrario, il lavoratore rischia di sostenere in proprio le altissime spese derivanti dall’infortunio, come ricovero ospedaliero, punti di invalidità, inabilità temporanea al lavoro, riabilitazione.

“Oltre a rischi appena visti per il lavoratore, ci sono dei rischi anche per il datore di lavoro?”

Abbiamo visto che-se un lavoratore dipendente dovesse subire, durante l’orario di ufficio, un serio infortunio all’interno della propria abitazione -è necessario prima di tutto stabilire se esiste un legame tra l’infortunio e le mansioni lavorative stabilite nel contratto di lavoro.

Se questo legame esiste (nel caso della dipendente di Treviso è stato dimostrato che l’infortunio è successo durante l’orario di lavoro, mentre parlava con un collega usando il cellulare aziendale), allora l’infortunio può essere indennizzato dall’INAIL, che estende la copertura assicurativa degli infortuni anche a chi lavora in smart working.

Ma attenzione: se si scopre che l’infortunio domestico è accaduto perché mancavano i requisiti minimi richiesti in materia salute e sicurezza sul lavoro, il datore di lavoro può essere chiamato a risarcire i danni subiti dal dipendente.

Il datore di lavoro che decide di trasferire i propri dipendenti in smart working deve comunque attenersi alle disposizioni antinfortunistiche “tipiche” del lavoro in azienda.

È responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell’attività lavorativa.

“Si rischia anche il penale in caso di un serio infortunio in smart working?”

È possibile. 

La  legge 81/2017 equipara il lavoratore in smart-working al personale in presenza in termini di trattamento economico e normativo, diritto alla salute ed alla sicurezza sul lavoro.

Con la differenza che quando il dipendente si trova in azienda il datore di lavoro ha un ampio margine di controllo della sua attività.

Quando questi si trova a lavorare a casa, da una parte il datore di lavoro rischia di perdere il controllo delle mansioni che si svolgono in locali estranei a quelli aziendali e dall’altra, è il lavoratore che -a casa propria-si riappropria di una notevole autonomia nella organizzazione del lavoro, del tempo e dello spazio, con tutti i rischi che ne derivano in termini di salute e sicurezza!

Rispondendo alla domanda, se si accerta l’infortunio è dovuto alla mancanza dei  requisiti minimi a tutela della salute e sicurezza, e il lavoratore non era stato sufficientemente informato dei rischi a cui può andare incontro in smart working, il datore di lavoro può essere chiamato a rispondere in sede sia civile che penale.

“Quali sono le strategie più importanti per mettere in sicurezza i dipendenti quando lavorano da casa?”

Sono due.

Innanzitutto, è molto importante fare prevenzione, informando il dipendente dei rischi presso la propria abitazione.

In secondo luogo, suggerisco di ricorrere alla polizza assicurativa aziendale contro gli infortuni.

Con riguardo alla prima, se vogliamo ridurre i rischi di farsi molto male all’interno delle mura domestiche, l’imprenditore può disporre di strumenti di autocontrollo dell’attività lavorativa del dipendente con ausilio di check list compilate dal lavoratore stesso, reso partecipe e consapevole della propria specifica condizione professionale.

Le caratteristiche dell’ambiente di lavoro, degli arredi, del rischio elettrico, incendio, dei fattori organizzativi, di conciliazione degli spazi vita/lavoro, del lavoro in solitario, delle modalità organizzative e non da ultimo il rischio di infortuni sono chiaramente elencati in modo tanto chiaro da aumentare il livello di consapevolezza del lavoratore.

Si vuole così responsabilizzare il lavoratore a non esporsi a rischi che fuoriescono completamente dall’attività di lavoro, come fare ginnastica, ritirare merce ad uso personale, uscire fuori casa per svolgere mansioni che nulla hanno a che fare con gli obiettivi richiesti dall’azienda.

“Perché la polizza assicurativa infortuni è tanto importante per proteggere i miei dipendenti in smart working?”

Il caso di Treviso ha messo in luce quanto sia importante per il lavoratore dipendente dimostrare il legame tra attività svolta e infortunio.

Se questo legame sussiste, il dipendente può godere della assicurazione INAIL.

Nel caso contrario, se l’incidente è stato provocato da un comportamento volontario, il lavoratore rischia di sostenere in proprio le spese derivanti dall’infortunio, come ricovero ospedaliero, punti di invalidità, riabilitazione.

Per scongiurare questo spiacevole inconveniente, le aziende possono venire incontro ai propri lavoratori in smart working assicurandoli con polizze infortuni di gruppo che offrono una copertura sia dentro che fuori i locali aziendali, come le proprie abitazioni.

In caso di incidente è corrisposto un indennizzo: si vuole così compensare le conseguenze economiche derivanti dalla ridotta capacità del dipendente facilitando l’accesso tempestivo a cure cure mediche e di pronta assistenza.

Oltre al rischio di infortunio, è possibile assicurare il caso morte, invalidità permanente, inabilità temporanea, spese di ricovero da infortunio e una rendita vitalizia in caso di invalidità permanente.

Queste assicurazioni possono includere anche le attività extraprofessionali, come un incidente in giardino o avvenuto durante l’attività fisica (purché non professionale!).

Gli assicurati possono essere gli amministratori, i soci, i membri del consiglio di amministrazione, i dirigenti, i quadri direttivi, gli impiegati, gli operai, gli stagisti, i tirocinanti e il personale con contratto di collaborazione.

“Se un mio dipendente si trova in trasferta temporanea all’estero e si fa male durante l’orario di lavoro, in smart working, esistono soluzioni assicurative contro questo rischio?”

Le normative in materia di sicurezza e salute sui luoghi di lavoro del paese in cui si trova il dipendente possono essere diverse da quelle vigenti in Italia.

Il rischio aumenta quando i nostri dipendenti si trovano all’estero e non è sempre chiaro il confine tra mansioni svolte presso il temporaneo domicilio e lo svolgimento dell’attività lavorativa in azienda, all’interno di un cantiere di lavoro o in visita di clienti o fiere.

Pertanto, è molto importante essere seguiti da consulenti assicurativi e risk manager del posto, in grado di informarci su cosa prevede la legge locale e indicarci la soluzione assicurativa migliore per proteggere i nostri lavoratori dagli infortuni all’estero e non lasciare nulla al caso.

In conclusione

I dipendenti che lavorano in forma smart rischiano di infortunarsi gravemente all’interno delle mura domestiche.

Il datore di lavoro rischia di risarcire i danni se il dipendente non è stato adeguatamente informato sui rischi del lavoro in remoto.

Il lavoratore, se non riesce a dimostrare il nesso tra incidente e mansioni lavorative, rischia di non essere risarcito dall’INAIL.

Le polizze assicurative infortuni possono rappresentare un valido strumento per garantire ai propri dipendenti un importante indennizzo da infortunio sul lavoro da casa.

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